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Duemila volte più del normale

Tre giorni fa, il 17 giugno, in un mio tweet ho osservato come una notizia mediamente importante sulla ricerca in Italia fosse stata banalizzata perché riguardava una donna. Non ho menzionato con @ il quotidiano (ho usato l’abbreviazione classica della sua testata e basta) né ho messo hashtag. C’era solo uno screenshot del titolo dalla versione web.

Questo perché non mi interessa farmi notare. Chi non mi conosce personalmente si fidi: in rete sono misantropo quanto nella vita di tutti i giorni. Il tweet era un commento personale a qualcosa che trovavo stupido e sminuente nei confronti di una donna (e di una donna che conosco: la scienziata è mia cugina). Mi interessava comunicarlo ai miei 400 follower e avere al massimo un commento da loro, tutto qui. È il modo in cui io uso le reti sociali da dodici anni.

Tre ore dopo, una brava giornalista risponde con una battuta a favore della scienziata in questione. Un’altra brava giornalista risponde a lei, sempre in modo spiritoso. Loro due, messe insieme, hanno più di 20.000 follower. Il tweet comincia a essere visto sul serio al di fuori della mia cerchia.

Un’altra ora dopo devo togliere il suono alle notifiche di Twitter, altrimenti divento scemo.

I miei tweet di solito ottengono un paio di commenti, tre-quattro RT quando mi va bene, qualche decina nel mio record precedente, anni fa. Questo invece nel giro di quarantott’ore arriva a 200 risposte, più di 2000 RT, più di 8000 Like; qualcosa che non mi aspettavo minimamente e che mi agita non poco mentre accade. Mi agita perché conosco abbastanza l’internette™ da sapere che oltre un certo numero di interazioni si inizia fisiologicamente ad attirare i troll. Vogliono a piece of the action, ovunque ce ne sia.

Alla fine mi è andata bene perché una maggioranza stragrandissima l’ha pensata come me e ha commentato la sciatteria del titolo o il sessismo come norma o entrambi. Ci sono stati però anche due tipi fondamentali di troll:

Detto ciò, ritengo più importante accennare ai moltissimi che, anche nelle interazioni collaterali su Twitter (in risposta a risposte), hanno capito quale fosse il problema e hanno tenuto le parti della scienziata, apprezzandone la voglia di riportare la ricerca in Italia. Anche se a questo punto non so se l’Italia (o almeno una certa Italia) se la meriti.